(di Michele Graduata)
Come è noto la politica è pensiero e azione, interpretazione e trasformazione. Se manca il primo non c’è cambiamento, perché non si può trasformare ciò che non si conosce. Se invece il soggetto della trasformazione non è più Noi ma Io, il cambiamento si traduce in una regressione, perché si restringe la democrazia. In entrambi i casi siamo in presenza di una politica senza politica che non fa Storia.
E’ questo il motivo per il quale la presentazione di 10,100,1000 liste elettorali non può mai sopperire alla mancanza di un pensiero lungo capace di reinterpretare il passato senza cancellarlo; di governare il presente invece di cavalcare gli eventi; di costruire Tutta un’altra storia e non replicare quella di sempre.
Solo il politico che dispone di questo orizzonte storico, entro il quale collocare i problemi del proprio Comune, ha le carte in regola per governarlo, privilegiando gli interessi generali.
Quando invece il politico, in nome di una moltitudine priva di una comune identità, utilizza soltanto il tempo presente offrendo protezione in cambio di fedeltà, riduce la politica ad amministrazione corporativa di interessi particolari. In questo caso siamo in presenza del solito vecchio blocco trasformistico che Gramsci etichettava come il popolo delle scimmie il quale “dimostra di essere fondamentalmente incapace a svolgere qualsiasi compito storico, riempie la cronaca, non crea storia, lascia traccia nei giornali, non offre materiale per scrivere libri”.
La storia d’Italia e soprattutto del Mezzogiorno dimostra che, quando si impoverisce il discorso pubblico, di pari passo, si diffonde la paura, la rassegnazione e l’omologazione. A quel punto, prende il sopravvento l’irrazionalità che spinge molti a non fare più affidamento sugli anticorpi democratici rappresentati dai partiti, dai sindacati, dalle parrocchie e dall’associazionismo (anche se in difficoltà) ma a ricercare una scorciatoia che, dopo l’iniziale euforia, prima provoca il disincanto e poi si trasforma in incubo.
In prossimità, perciò, delle imminenti consultazioni elettorali il voto dato al centrosinistra guidato da Rosanna Saracino e Alessandro Denitto è l’unico utile per contrastare l’avanzata delle destre populiste, fasciste e xenofobe e fare di Mesagne una città europea.
I voti raccolti, invece, dalle formazioni che non hanno riferimenti culturali e politici nazionali e europei saranno catalogati nella categoria Altri, ossia considerati ininfluenti ai fini della costruzione di quella rinascita democratica di cui ha bisogno l’Italia e condanneranno la nostra città al ruolo di “anomalia”.
In ogni competizione elettorale tocca a tutte le forze politiche in campo rendere chiare le proprie ragioni e sottoporre quelle degli altri ad una serrata critica, soprattutto quando si vota Si alle primarie del Pd, No alle elezioni comunali e Ni alle europee. Il tutto per mettere i cittadini nelle condizioni di comprendere qual è la vera posta in gioco e poter scegliere liberamente.
L’obiettivo per cui si batte Mesagne progressista consiste nel rendere chiaro, da un lato, che il nostro Comune corre il rischio di trasformarsi in un feudo teleguidato dall’esterno e, dall’altro, che l’operazione politica incentrata sul civismo, non è il nuovo che avanza ma il vecchio che ritorna. Per questo chiediamo a tutti un sussulto di coscienza democratica in nome della nostra Carta Costituzionale, che è stata scritta dai partiti, è antifascista e parla di diritti e non di concessioni padronali.
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